A cura di Irene Finiguerra.
Dal 20 settembre al 12 ottobre.
Biella, Palazzo Ferrero
Chi sono io, nel mondo? È la domanda – insieme intima e collettiva – che attraversa il lavoro di Silvia Levenson, artista argentina che da anni utilizza il vetro come linguaggio per raccontare ciò che spesso resta invisibile: i silenzi dell’infanzia, le crepe dell’amore, le strategie di sopravvivenza nelle relazioni umane. Divisa in due sezioni, Infanzia e Amore, la mostra mette in luce con forza poetica e ironia tagliente i paradossi del quotidiano: la fragilità mascherata da gioco, la violenza celata dietro gesti familiari, la tenerezza contaminata da inquietudine. Levenson lavora con oggetti domestici, icone dell’intimità e del ricordo, trasformandoli in simboli che interpellano chi guarda. Attraverso il vetro – materiale bello ma tagliente, trasparente ma pericoloso – l’artista costruisce un mondo che somiglia al nostro: apparentemente ordinario, ma abitato da domande urgenti, come quella che dà il titolo all’opera centrale e all’intera mostra.
«Attraverso le mie sculture e installazioni indago sui rapporti interpersonali e sociali che hanno come scenario lo spazio domestico. Sono interessata a quello scarto che esiste fra ciò che è detto ad alta voce e ciò che è sussurrato o solo accennato, e uso il vetro come una lente che mi permette di isolare e osservare quello scarto. Non sono interessata alla bellezza del materiale in sé né alla sua funzionalità. Mi affascina invece l’ambiguità del vetro, con il quale trasformo oggetti quotidiani come tazze, caffettiere, profumi e torte di matrimonio in simboli di tensioni e incomunicabilità. Con questi lavori creo uno spazio di dialogo con chi guarda e rendo visibile ciò che normalmente non possiamo o non vogliamo vedere.» Silvia Levenson
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